Nel precedente articolo, abbiamo dato una breve definizione di “fobia” e abbiamo visto come sia qualcosa riferito ad un ambito molto specifico dell’emozione “paurosa”.
Nel Seguente articolo parleremo delle conseguenze psicologiche e fisiche dovute alle paure, le ansie e le fobie: disturbi dell’umore, stress, nevrosi, che hanno come base un’alterazione della percezione reale dell’ambiente circostante, venendo a generare, così, delle risposte non adeguate al contesto e, quindi, non funzionali, effettivamente, alla sopravvivenza. Anzi, come vedremo, saranno causa di esiti assolutamente dannosi.
Nel prossimo articolo andremo a capire come si impara la paura.
Ricordo ancora una volta che la trattazione in questa sede non può essere esaustiva data la complessità di tali argomenti. Ricordo altresì, che anche questo articolo, come il precedente, servirà come introduzione e quindi per meglio comprendere, l’analisi in campo cinofilo.
Auguro a tutti una buona lettura e rimango a vostra disposizione per ogni domanda, dubbio, chiarimento.
Umore
Paura, ansia, fobia sono strettamente legate e riguardano la sfera emozionale dell’individuo e quindi del suo benessere psicofisico. Ma cosa è l’umore e in che modo si collega agli argomenti di questa trattazione? Proviamo a darne una definizione:
«[…] termine che indica uno stato prevalente e prolungato o una disposizione. […] Descrive lo stato del Sé in relazione al proprio ambiente. Vi è una vastissima gamma di variazioni di ciò che può essere ragionevolmente definito umore normale. L’umore patologico, cioè l’umore di cui il paziente soffre e l’umore che provoca disturbo o sofferenza ad altri, è a sua volta soggetto a grandi variazioni, e il grado di accettabilità per gli altri varia a seconda dei contesti sociali.» A. Sims, 2004, Introduzione alla psicopatologia descrittiva, Raffaello Cortina Editore, p. 388
Parlare di stato dell’umore non è quindi facile in considerazione delle variabili che entrano in gioco. Tuttavia vale lo stesso ragionamento che è stato fatto per la paura e l’ansia: la variazione di umore è di per sé normale, come la definizione dei suoi estremi, se le conseguenze di cui può essere causa sono adeguate al contesto (socio-culturale) in cui l’individuo si trova. Come è altrettanto chiaro che vi è una componente assolutamente soggettiva sulla valutazione dello stato dell’umore (Fig. 5.)
Per capire ancora meglio le implicazioni dell’umore e per cercare di dare una validazione il più possibile aperta ai possibili contesti, è necessario fornire altre definizioni circa lo stato interiore dell’individuo:
- Sentire: termine utilizzato nella descrizione di una reazione positiva o negativa ad una esperienza profonda ma transitoria;
- Affetto: termine per indicare uno stato prevalente e prolungato o una disposizione;
- Emozione: termine spesso usato per indicare gli effetti fisiologici e psicosomatici che accompagnano un umore.
Possiamo affermare, quindi, che l’umore è uno stato interno che dipende da fattori endogeni ed esogeni, che si costruisce attraverso la disposizione percettiva ed affettiva dell’individuo e che è esternato da comportamenti manifesti contestualizzati all’ambiente di vita. La loro espressione, a livello puramente comunicativo, avviene nell’ambito non verbale prima ancora che nella sfera più palese di un qualsiasi altro esito.
Parlare di emozioni, tuttavia, non è semplice data la loro natura soggettiva. Per questo motivo Jaspers propone una categorizzazione dei sentimenti:
- relativamente all’oggetto dell’emozione. E’ il caso, per esempio delle fobie;
- relativamente alla loro sorgente e possono essere localizzate, per esempio, in varie parti del corpo o coinvolgere l’intero organismo;
- relativamente al possibile scopo biologico;
- relativamente alla sensazione circa uno o più stati emotivi del soggetto in quel momento;
- relativamente alla durata e intensità. L’affetto sarebbe quindi una reazione momentanea mentre l’umore è uno stato emotivo prolungato e inerente tutta la sfera mentale;
- relativamente al sentire. L’emozione riguarda lo stato del Sé, mentre la sensazione si riferisce all’oggetto di percezione.
Sentimenti, percezione, oggetti: sono i tre fattori principali degli stati interni individuali e che influenzano l’umore e quindi le risposte dell’individuo. L’oggetto può «[…] evocare una risposta emotiva in una persona normale[…]. Tale risposta affettiva normale può essere patologicamente esagerata. Sentimenti eccessivi di paura, fino a stati di terrore, possono rimanere intensamente associati ad alcuni oggetti, così come una gioia profonda quanto inappropriata. Gli oggetti ai quali si associa un’emozione possono essere non solo oggetti inanimati ma anche pensieri, modalità di pensiero, persone. […] Virtualmente, qualsiasi oggetto della percezione può venire investito di un atteggiamento emotivo idiosincratico» A. Sims, 2004, Introduzione alla psicopatologia descrittiva, Raffaello Cortina Editore, p. 395
Stress
Con questo termine si intende il movimento adattivo come reazione a delle sollecitazioni chiamate stressor. Tali fenomeni vanno a turbare l’omeostasi psico-fisica dell’organismo, il quale reagisce producendo delle risposte (neuropsichiche, emotive, locomotorie, ormonali e immunologiche) funzionali al ripristino di un nuovo equilibrio.
Lo stress, quindi, è da considerarsi come una reazione fondamentale dal punto di vista evolutivo. Tuttavia può avere dei risvolti patologici tanto che Selye (1936) ha introdotto la distinzione tra
- Eustress o stress positivo: stato di attivazione necessario per mettere in atto le strategie di problem solving rispetto alla situazione che l’individuo si trova ad affrontare. Può essere caratterizzato da una forte intensità, ma è comunque limitato nel tempo;
- Distress o stress negativo: stato di attivazione che può essere caratterizzato anche da una forte intensità e che è durevole nel tempo. Non si esaurisce con la risoluzione del problema ma, anzi, spesso impedisce l’attuazione delle giuste strategie di problem solving.
Le cause scatenanti sono già state descritte nei precedenti paragrafi e comunque si individuano in fattori ambientali e soggettivi.
La reazione allo stress può essere suddivisa in tre fasi:
- Fase di allarme: si attivano le reazioni neurovegetative e psicologiche per la miglior predisposizione alla situazione (strategie di coping);
- Fase di resistenza: tutte le energie e le reazioni sono concentrate verso quello che il soggetto percepisce come stressor, mettendo in atto una discriminazione con altri stimoli concomitanti. In questa fase l’organismo contrasta l’inevitabile affaticamento producendo risposte ormonali come, per esempio, l’attivazione delle ghiandole surrenali che emettono il cortisolo. E’ in questa fase (dalla fine della fase di allarme al termine della fase di resistenza) che mediamente, in caso di assenza di patologie, si attuano le giuste strategie di problem solving. Quindi la dimensione temporale, che dipende dalle caratteristiche dello stimolo e da quelle del soggetto, individuano l’eustress;
- Fase di esaurimento: se gli stressor continuano la loro azione o se l’individuo non è in grado di produrre risposte si possono determinare danni psicofisici anche permanenti o addirittura la morte. In questa fase si individua il distress ovvero il prolungarsi nel tempo di una o più delle fasi precedenti.
La combinazione di queste tre fasi è alla base della descrizione della Sindrome Generale di Adattamento individuata da Selye (1955), come rappresentato in Figura 6.
Secondo Selye (1974) esiste una capacità soggettiva di resistenza al fenomeno che non necessariamente è dannoso, infatti «[…] dal punto di vista della sua capacità di provocare uno stress, non ha importanza che l’agente stressante, o la situazione che dobbiamo fronteggiare, sia piacevole o spiacevole: conta solamente l’intensità del bisogno di adattamento o riadattamento.» H. Selye, 1976, Stress senza paura, Rizzoli
In Figura 7 è rappresentata una curva di distribuzione normale del livello di stress in rapporto ad un evento. Come si può notare da una fase di calma dove la risposta è pari a zero, il livello sale fino ad un punto apicale in cui il livello di eustress dovrebbe fornire l’energia necessaria per adottare le strategie adeguate alla situazione (problem solving). Dal punto di massima attivazione il livello di stress comincia ad abbassarsi fino al raggiungimento del nuovo equilibrio omeostatico. L’andamento della curva, e conseguentemente l’ampiezza delle aree sottostanti, può variare in base al soggetto e alle situazioni. Dal punto apicale in poi la curva potrebbe stabilizzarsi su livelli alti delineando la fase di distress.
Il processo omeostatico che consente all’organismo di ritrovare un nuovo equilibrio e quindi di adattarsi, è caratterizzato da un sistema di feedback. Molto sinteticamente, non essendo questa sede di approfondimento sull’argomento, dal punto di vista fisiologico ciò significa che la risposta neurovegetativa, compresa la produzione degli ormoni relativi, si attiva, si modula e cessa in base a segnali percettivi ed interni elaborati da ipotalamo ed ipofisi. E’ intuitivo che se il processo di feedback presenta delle anomalie, la concentrazione dell’ormone esso controllato, (nel nostro caso principalmente: cortisolo, adrenalina, aldosterone) non è ottimale con la conseguente irregolarità delle funzioni da questo regolate. Alte concentrazioni di tali ormoni e per un periodo relativamente lungo, portano a delle conseguenze fisiche che possono essere anche molto gravi (sovraccarico organi interni, insorgenza di malattie somatiche, morte), oltre ad una prostrazione psicologica (Figura 8). Solo a titolo descrittivo in Figura 9a è riportata una semplificazione del normale funzionamento del sistema di feedback negativo del cortisolo ed in Figura 9b il funzionamento dello stesso processo sottoposto a stress.
Nevrosi
Situazioni stressanti protratte a lungo nel tempo (distress) e di forte intensità, possono causare problematiche oltre che fisiche, come abbiamo visto, anche psicologiche. In particolare «la nevrosi è una reazione psicologica a un’esperienza continua o acuta di stress, che si esprime in emotività o comportamento che alla fine risultano inappropriati nell’affrontare quello stress» (Sims, 1983). Il comportamento nevrotico, da un punto di vista oggettivo, trova origine nella presenza di una situazione che richiede una soluzione che, nella fattispecie, si presenterà come inappropriata al contesto. Dal punto di vista soggettivo, l’individuo nevrotico, mostrerà scarsa autostima, sicurezza e consapevolezza in se stesso tanto da dover affrontare il problema con un notevole dispendio di energie emotive e psicologiche, trovandosi a dover sopportare carichi di stress eccessivi. Tale stato si può associare ad una sindrome depressiva anche grave laddove la perdita di autostima è cronica e in conseguenza ai disagi sociali che ne derivano.
Individuiamo, pertanto, le aree di ricerca e di intervento delle funzioni psicopatologiche del disturbo nevrotico:
- Esperienza del sé: caratterizzata da bassa autostima, indecisione, egocentrismo pessimistico, distorsione della consapevolezza del proprio schema corporeo. In questa fase può aver luogo quello che Frank (1974) ha chiamato Ciclo della demoralizzazione (Fig. 10) ovvero una specie di spirale dove aumenta in negativo l’esperienza del sé e all’interno della quale qualsiasi attività, anche terapica, ha una grande probabilità di fallimento.
- Disturbi dell’umore: caratterizzati da depressione, ansia (generalizzata, situazionale o fobia, episodica, post traumatica da stress);
- Sintomi somatici: caratterizzati da disturbi motori, alterazioni somatizzazioni neurovegetative, disturbi della consapevolezza corporea;
- Alterazione dell’esperienza delle relazioni: «gli individui gravemente nevrotici mancano completamente di disponibilità e sono inadatti in tutte le situazioni sociali» A. Sims, 2004, Introduzione alla psicopatologia descrittiva, Raffaello Cortina Editore, p. 513. Naturalmente la condizione descritta rappresenta l’apice del disturbo, ma nel continuum tra risposta adeguata e totalmente inadeguata vi sono problematiche riguardanti la sfera relazionale nella sua completezza.
Questa alterazione è denominata da Henderson e collaboratori (1981) anophelia ovvero «uno stato di deficienza reale o percepito nelle relazioni […] uno stato di assenza da parte di altri di attenzione, partecipazione, conforto, interesse o supporto» A. Sims, 2004, Introduzione alla psicopatologia descrittiva, Raffaello Cortina Editore, p. 513. Ne risulta pertanto un senso alterato nella percezione dei rapporti con l’ambiente fisico e relazionale esterno. Questo crollo emotivo nelle relazioni, causa il fallimento delle risposte adattive dell’individuo. Si crea dunque una “inevitabilità” degli eventi che appaiono senza controllo, producendo scelte disadattive che si auto sostengono (Sims, 1975) (Fig. 11.).
Andrea Berti: mi presento!
Ciao a tutti gli utenti di My Pet’s Hero.
Quando sono nato avevo una sorella. E’ stata la mia baby sitter, la mia compagna di giochi, la mia unica e insostituibile compagnia. Passavamo tutti pomeriggi sotto al tavolo della cucina o a rincorrerci per casa. Dormivamo insieme. Si chiamava Bully ed era una cagnolina bianca e nera.
Da questa esperienza ho capito, fin da “cucciolo”, che comunicare non è solo parlare, ma è qualcosa di più profondo, che va al di là di qualsiasi apparenza: quando ho a che fare con i cani e i loro compagni umani, lo tengo sempre ben presente.
Mi chiamo Andrea Berti e lavoro nel campo dell’Educazione Cinofila da circa undici anni. I miei campi di azione sono: la relazione e comunicazione Cane-Uomo e Cane-Cane, la relazione e la comunicazione Cane-Bambino e Bambino-Cane, la cura (dal punto di vista comportamentale) di cani con stress, ansie, fobie. Tutto il mio lavoro si basa su metodi provati scientificamente e assolutamente NON violenti e NON coercitivi, da me, per altro, rifiutati e combattuti.
Un po’ di curriculum formativo: laurea magistrale in Scienze dell’Educazione, master in “Operatore con il cane nelle attività e terapie assistite dagli animali” e master in “Istruzione Cinofila” entrambi conseguiti presso l’Università di Pisa, vari stage formativi. Collaborazioni: comunità per minori “Isola che non c’è” di La Spezia, Istituto di Neuropsichiatria Infantile Irccs Stella Maris di Pisa al progetto “Al di là delle nuvole” e al progetto “ Senti chi abbaia”, consultorio cinofilo dell’Università di Pisa.
Attualmente co-titolare, insieme alla Dott.ssa Valentina Nuti,dell’ a.s.d. Pet&Family Group.